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Economia, quando le stime non prevedono la recessione

2009-03-11

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2009-03-10

Economia, quando le stime non prevedono la recessione

di Vittorio Carlini

Revisioni al ribasso, target di crescita errati. I modelli di previsione non funzionano? E poi: hanno ancora rilevanza? Le risposte, e le critiche, degli esperti.

Anticipazioni sbagliate. Valutazioni "sballate". Revisioni delle stime che seguono revisioni delle stime. È la storia recente delle previsioni sulla crescita economica. Basta ricordare quella sul Pil Usa nel quarto trimestre 2008: doveva calare del 3,8%, il dato finale è stato di un crollo del 6,2 per cento. Un caso isolato? Assolutamente no e per rendersene conto basta dare un'occhiata ai numeri: a gennaio dello scorso anno, cioè quando lo tsunami subprime aveva colpito già da 8 mesi, il consensus sul Pil 2008 dell'Italia era ancora per un incremento dell'1,2 % (+1,8% quello sull'area Euro).

Ad aprile si assiste alla limatura delle previsioni: il consensus parla di una crescita dell'1,5% nell'area Euro e un + 0,6% per il Belpaese. Tre mesi dopo, a luglio, la storia si ripete ma con una sorpresa. In Eurolandia, addirittura, si ri-alzano le stime: il Pil a fine anno? Dovrebbe salire dell'1,6 per cento. L'Italia, invece, resta fanalino di coda con un incremento dello 0,4%. Ce n'é abbastanza? Certo che no. A ottobre torna il "pessimismo" sull'Europa: crescita solo dell'1,2%; nella Penisola, invece, la congiuntura sarà piatta. A gennaio 2009, la previsione 2008 per l'area Euro è dello 0,9% mentre in Italia siamo ad un calo dello 0,5 per cento. Alla fine, storia di questi giorni, il consuntivo sul 2008 è il seguente: il Pil 2008 in Italia è negativo per un punto percentuale mentre in eurolandia la crescita è dello 0,7 per cento.

Insomma, la storia è una continua sforbiciata al consensus, che riguarda anche le principali istituzioni di previsione. Giocoforza, sorgono le domande: come mai tutti questi errori nelle stime? E poi: è una situazione imprevedibile, o sono i modelli alla base delle previsioni non così efficienti? Ancora: alla fine, servono realmente a qualcosa? Il Sole24ore.com ha tentato di analizzare lo spinoso tema.

Previsioni mancate

Già, perché le stime non hanno previsto il crollo? "I modelli previsionali - risponde Luigi Campiglio, professore di politica economica all'Università Cattolica di Milano- funzionano all'interno di un determinato "regime". Cioè, quando esiste un trend delineato che, seppure caratterizzato dai cicli economici, vanta una tendenza di fondo sul lungo periodo. Se questo regime cambia, come accade ora, è difficile cogliere i punti di svolta". Un esempio può aiutare a capire meglio. Esistono modelli previsionali, cosiddetti strutturali, che definiscono il futuro basandosi sul ripetersi, nel passato, di un certo andamento dell'economia (regolarità storiche) in presenza di certi rapporti tra le variabili economiche. Per esempio: individuata una determinata propensione al consumo (o al risparmio) delle famiglie, si può individuare, confrontandola con un mix di altre regolarità storiche, una probabile evoluzione dell'economia. "Ebbene - dice Campiglio - a gennaio la propensione marginale al risparmio delle famiglie americane, da sempre negativa, è incredibilmente balzata al 5 per cento". C'è, insomma, un fatto nuovo, eccezionale che è tra le cause del cambiamento di regime. E, giocoforza, la vita del modello previsionale si complica. Alla fine si può dire che, nonostante la complessità e raffinatezza del modello, il fatto di "guardare" al passato per interpretare il futuro crea il problema: se nel passato una situazione non si è mai verificata (o solo in rari casi), la regolarità economica non viene individuata. "In presenza di sviluppi eccezionali - ha detto in un intervento il vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco - tali da costituire un momento di discontinuità con il passato, viene a mancare la regolarità statitistica di riferimento".

Ma non è solo questione di nuovi eventi. C'è anche la carenza "nel rappresentare - spiega sempre Visco - gli aspetti che maggiormente contano nell'attuale crisi", cioè: in che modo l'epidemia si è trasmessa dai mercati finanziari all'economia reale. Le tensioni sul mercato interbancario e la difficoltà delle banche a raccogliere crediti hanno schiacciato gli investimenti delle imprese e i consumi delle famiglie: "Una situazione - commenta Luca Paolazzi, direttore del centro studi di Confindustria - mai considerata in profondità dai modelli di previsione".

Le critiche dell'economia cognitiva.

Proprio il comportamento dei mercati finanziari ha dato il "la" per diverse considerazioni. Quando, agli inizi del credit crunch, i tassi interbancari sono schizzati all'insù la mossa, quasi "pavloviana", delle banche centrali è stata di inondare il mercato di liquidità. Si è detto: ripartiranno gli scambi, i tassi scenderanno e il mercato tornerà normale. In una parola: si è ragionato secondo gli schemi tradizionali della razionalità e dell'efficienza dei mercati. Le cose, però, sono andate diversamente. Le banche non si fidavano tra di loro e il denaro, invece di prestarselo, lo mettevano nei caveu. Un comportamento che gli stessi modelli di previsione non hanno preso in considerazione. Si dirà: un evento eccezionale, un indizio del cambiamento di regime.

Possibile, ma molti si chiedono se questi comportamenti siano veramente eccezionali, "irrazionali". "Io non credo all'agire "irrazionale", non prevedibile - dice Salvatore Rizzello, professore di economia politica ed esperto di economia cognitiva - In realtà è l'impostazione alla base dei modelli econometrici (compresi quelli che fanno le stime, ndr) ancora limitata. Si guarda all'operatore economico come un soggetto che decide in base a regole standard ben precise: come, per esempio, massimizzare i profitti e ridurre al minimo le perdite. In realtà, numerosi esperimenti hanno mostrato il contrario. La routine culturale, la storia personale, l'informazione parziale rispetto alle alternative porta a prendere decisioni "irrazionali"". Che, però, sono state da anni valutate e analizzate e quindi "sono prevedibili e hanno niente di "irrazionale". Ben potrebbero - aggiunge Rizzello- essere inserite nei modelli per migliorarli". "La provocazione culturale - ribatte Campiglio - mi trova concorde. Tuttavia, non abbiamo ancora una teoria generale che permetta di usare concretamente i principi della economia cognitiva". Come dire insomma: i diversi tipi di modelli sono già molto complessi e, allo stato attuale, è difficile inserire anche queste variabili.

Peraltro, nei procedimenti (molto articolati) che portano a formare la stima, un'importanza rilevante è data al cosiddetto judgment: il "buon senso". I diversi esperti dei mercati analizzano i dati, li confrontano e poi danno la loro impressione sulle possibili evoluzioni. Insomma, il freddo dato numerico sarebbe già valutato "irrazionalmente", "di pancia" invece che con il solo procedimento analitico. Solo che, l'evoluzione prevedibilmente "irrazionale" del mercato interbancario non è stata anticipata.

Maggiore trasparenza.

Al di là delle questioni culturali di fondo, quali le prospettive di queste previsioni? Sono realmente utili? Per rispondere alla domanda basta un piccolo esercizio mentale: ipotizzare un mondo dove una qualche ipotesi sul futuro non esiste. Cioè, non si hanno punti di riferimento (seppure probabili), in riferimento ai quali muoversi. In una simile situazione sarebbe difficile, per non dire impossibile, prendere qualsiasi decisione. Questa considerazione vale ancora di più nel mondo economico dove, per esempio, le industrie definiscono i loro budget proprio sulle stime del ciclo economico.

Tutto a posto, quindi? Assolutamente no. Soprattutto in un periodo di alta volatità dei mercati come l'attuale, nuovi accorgimenti sono necessari. Anche perché, se lo stillicidio di revisioni proseguisse, gli istituti che fanno previsioni, e i dati stessi, perderebbero di autorevolezza. Così, diversi studiosi puntano sull'aspetto di una più puntuale informazione: più trasparenza e maggiore informazione sulla tipologia del dato. Indicare con precisione, per esempio, se si tratta di un valore preliminare o consuntivo. Senza dimenticare, poi, la possibilità di indicare un range, una forchetta all'interno del quale inserire la stima previsionale o lo scenario considerato più probabile. Insomma, offrire un'informazione più analitica. Senza avere il timore di apparire non così puntuali nella previsione: l'economia è complessa; pensare di prevederne esattamente i suoi sviluppi è pura utopia. Chi pensa il contrario è un illuso o è in mala fede.

vittorio.carlini@ilsole24ore.com

10 marzo 2009

 

Il mio Commento

Io non sono un tecnico della materia, ma forse il problema sta nella :

Per me infatti chi governa, non solo in Italia, ma anche in Europa ed in tutto il mondo, ad eccezione del fenomeno attuale OBAMA) cerca sempre di allungare i tempi sulle informazioni negative, mentre accorcia quelli sulle informazioni cosiddette positive ( ovvero realmente positive, oppure falsamente positive per cercare di nascondere la realtà dei fatti ).

Quando c'è un andamento negativo per la collettività è indispensabile saperlo per tempo per porvi rimedio, come per il cancro, mentre chi è strettamente interessato cerca di dilazionare l'informazione nel tentativo di risolvere prima i suoi problemi, e poi quelli della collettività.

In caso di malattia il più presto si interviene con gli anticorpi, prima si vince il male, e così è anche per l'economia e lo sviluppo.

Per quanto riguarda la non certezza degli investimenti, di fatto il problema principale è la mancanza di controllo sui movimenti finanziari, e soprattutto sulla non chiarezza sugli investimenti fatti per conto degli ignari ed onesti risparmiatori, al punto che in presenza di cadute gli si addebita titoli che perdono e non guadagnano.

Purtroppo non c'è un registro per stabilire realmente i passaggi dei titoli, e non c'è garanzia. Questo sistema va assolutamente controllato e riformato

Per quanto riguarda la non idoneità e sufficienza dei parametri presi in analisi, non si tiene conto di tutti i dati necessari per monitorare in tempo reale l'andamento dei fenomeni e per avvantaggiarsene con opportuni provvedimenti correttivi e di indirizzo.

Ciò è il massimo dell'assurdo, oggi nell'era del tempo reale non si monitorizza giusto, e questo senz'altro perché altrimenti la speculazione sarebbe di fatti annientata in tempo reale.

Invece in mancanza di analisi seria la speculazione sta continuando a falcidiare la ricchezze del mondo, al punto che corriamo il rischio che oltre la metà di quello che gli stati stanno stanziando sia fagocitato dalla speculazione.

Per questo è indispensabile controllare tutti i movimenti finanziari, e quindi la Banche:- Quelle cosiddette sane vanno preservate, le altre vanno lasciate fallire, mentre i risparmiatori di esse vanno salvati, e non viceversa, forse regalando 80 Mld alla speculazione.

Gli 80 Mld andrebbero spesi per la salvaguardia della Aziende sane, per il loro credito e di quello alle famiglie. Per fare ciò le richieste dovrebbero essere avvallate dalla Banca d'Italia, e le banche dovrebbero quindi procedere senza creare ostacoli.

Forse il denaro che non si concede alle aziende viene utilizzato per rastrellare immobili e quanto si svende per sopravvivere.

Inoltre c'è anche il rischio la Banche Italiane che sono vantate come solide, e le Popolari che teoricamente sono a contatto con il tessuto economico territoriale e le aziende, cominciano a vacillare.

Perché non si previene forse qualcosa che già bolle in pentola, con quelle che hanno investito in paesi come la Romania, e rischiano come è successo negli USA? Si intervenga subito, prima che sia troppo tardi.

Per quanto riguarda i dati da monitorare, meglio di me dovrebbero sapere gli esperti, ma senz'altro tutti i flussi di materie prime, i loro costi e provenienze, tutti i dati relativi all'andamento della produzione, i costi, manodopera, la movimentazione delle merci, le previsioni di assorbimento dei mercati, ecc.

E' del tutto inutile continuare a produrre beni deperibili se restano in giacenza nei magazzini, o prodotti non competitivi per costo in presenza di riduzioni di domanda e concorrenza di paesi con bassi costi produttivi. Nel caso ci sia di mezzo la qualità, è da analizzare se la domanda ne risente in virtù che il cceto medio che la richiede è anch'esso in difficoltà. Per questo è bene provvedere degli strumenti idonei per la salvaguardia del Made in Italy.

Avrei tantissimo altro da dire, ma chiudo qui

Distinti Saluti

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

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